Avete mai sentito parlare di pet-therapy?
Con questo termine si intende una pratica terapeutica che si basa sugli effetti positivi – ormai confermati da diversi studi – che gli animali rivestono sulla nostra salute, sia a livello fisico che mentale.
In questo articolo vedremo più nel dettaglio di cosa si tratta.
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Origine della pet-therapy
La pet-therapy viene fondata intorno la metà del secolo scorso dallo psicoterapeuta Boris Levinson: si rende conto che, durante i colloqui con i suoi pazienti, la sola presenza del suo cane ha un effetto più che positivo. Ma già nel ‘700 e poi nell”800 i medici inserivano nei loro progetti di recupero di pazienti con problemi neurologici degli animali, soprattutto cavalli, per curare schizofrenia e depressione.
Tale disciplina medica, specialmente negli ultimi anni, sembra aver preso piede in molte realtà (associazioni, ospedali, case di riposo, centri di riabilitazione), sia in Italia che all’estero. Nel nostro Paese Il riconoscimento della pet-therapy iè avvenuto con il Decreto del Presidente del Consiglio del 28 febbraio 2003, che recepisce l’accordo tra il Ministero della Salute, le Regioni e le Province Autonome in materia di benessere degli animali da compagnia e la pet-therapy.
Come funziona la pet-therapy
La pet-therapy viene definita come co-terapia, dove la relazione con l’animale non è spontanea come avviene tra le nostre mura domestiche, ma ben studiata all’interno di un determinato contesto e programma terapeutico: sono coinvolte diverse figure professionali, tutte fondamentali per il raggiungimento dell’obiettivo finale, e l’interazione tra paziente e animale è guidata e supervisionata da esperti sia di comportamento animale che umano; non possono mancare il medico e lo psicologo, ma un ruolo importante è anche quello del veterinario, dell’etologo, dell’istruttore.
Inoltre non si tratta di un sistema di cura alternativo, ma accosta la medicina tradizionale, aumentandone l’efficacia: sembra infatti che aumenti la disponibilità del paziente nei confronti della terapia, ma soprattutto la predisposizione verso la guarigione. L’effetto terapeutico è dato dalla relazione paziente-animale, non bisogna quindi considerare quest’ultimo medicina o terapeuta.
Nel 1982 nasce persino la Delta Society, un’associazione americana che si preoccupa di fissare gli standard riconosciuti a livello internazionale per un corretto approccio alle terapie che vedono l’impiego di animali; fondamentale è anche il rapporto di fiducia che si deve instaurare tra animale e conduttore (che deve essere quindi una persona esperta e competente, alla base ci deve essere sempre una buona preparazione).
Possono essere impiegate diverse specie, ma il cane è una delle più adatte proprio per la sua vicinanza all’uomo. L’animale diventa lo “strumento” attraverso il quale far uscire il paziente dal proprio “guscio”, aiutarlo ad esprimere le proprie emozioni senza timore di essere giudicato: accompagnando il cane durante le sue passeggiate si fornisce al paziente una motivazione per effettuare attività fisica; spazzolando il cane il paziente ha modo di rilassarsi e dedicarsi al benessere di un altro essere vivente; l’anziano trova nell’animale una fonte di curiosità e un punto di svago, mentre per i bambini può essere una fonte di distrazione per rendere più piacevole – o almeno sopportabile – una degenza in ospedale. Naturalmente il programma dovrà essere studiato ad hoc nei singoli casi, ed anche l’animale dovrà essere scelto in base alle necessità del paziente.
Una speranza personale per il futuro
Mi auguro che la presenza di animali all’interno di strutture pubbliche o private (ospedali, scuole, asili, case di riposo, ma anche uffici di lavoro) diventi una costante: le realtà che l’hanno sperimentata hanno riscontrato effetti positivi, si a livello individuale che collettivo (vi invito a leggere In ufficio con il proprio cane: una realtà anche italiana).
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