Erano anni che volevo visitarla e quest’anno, al pensiero di dove trascorrere le vacanze (mare o città?), è a lei che si è rivolta subito la mia mente: Napoli.

Offre un sacco di cose da vedere, è ricca soprattutto di storia e di tradizione, e si avverte in tutta la città il forte rapporto da un lato con la religione e la fede e dall’altra con la scaramanzia.

E poi quale anno migliore avrei potuto scegliere se non quello della vittoria dello scudetto? A distanza di un mese tutte le vie del centro erano ancora addobbate a festa, con striscioni, nastri bianchi e azzurri, immagini appese di giocatori e magliette… è impossibile non percepire, a chi viene da fuori, quel senso di appartenenza che i napoletani nutrono per la propria città.

Arrivo e primo giorno a Napoli: Chiaia e Quartieri Spagnoli

Le prime due cose che ho capito poco dopo essere scesa dal treno sono state:

– a Napoli non puoi non perderti

– Napoli è una miscela di contrasti, ma man mano che li vivi – e se riesci a calarti in essi – ti accorgi che non stonano assolutamente tra loro ed anzi, Napoli non sarebbe Napoli senza di essi.

Ero partita con l’idea di visitare questa città in solo tre giorni, comprendendo anche Pompei e magari facendo persino una tappa la mare; chiedendo consiglio nei vari gruppi social su come organizzare questa mini vacanza, la maggior parte delle risposte sembravano di persone quasi risentite (sicuramente napoletani o di coloro che amano questa città) che invece che darmi consigli in merito alla mia domanda sottolineavano ripetutamente ed esclusivamente quanto fosse poco il tempo messo in programma per questa mia prima volta a Napoli… e non avevano per nulla torto!

Cinque giorni sono stati sufficienti per vedere non tutto, ma sicuramente tanto, girando in lungo ed in largo quasi esclusivamente a piedi; quello che vi consiglio è di concedervi eventualmente qualche giorno in più piuttosto che girovagare come pazzi per la città per riuscire a visitare quanto più possibile, con il rischio di stancarvi e accaldarvi però così tanto da rischiare di non apprezzare tutto come dovrebbe invece essere apprezzato. “Ma a Napoli c’è anche la metropolitana!”: è vero, ma per me visitare una città, scoprirla è girare lungo le vie e tra le vie… scelta comunque personale ed ovviamente influenzata dal tempo a disposizione (oltre che dal piacere di camminare).

Di quel primo giorno, dopo aver scaricato al volo il trolley nel B&B dove avevo prenotato la stanza, avevo a disposizione solo il pomeriggio: sulla base di ciò che volevo visitare sono partita da Piazza Dante e poi percorso verso sud via Toledo, nel frattempo imbucandomi in qualche vietta laterale per dare una sbirciatina ai quartieri Spagnoli.

Piazza Dante ha una storia lunga diversi secoli e caratterizzata da un susseguirsi di eventi: ad esempio intorno la metà del 1500 fu Borgo del Mercatello, che accoglieva il piccolo mercato, ma acquisì un aspetto più urbano quando venne costruito l’edificio ad emiciclo che la domina, fatto realizzare da Carlo III di Borbone circa due secoli dopo e che volle dedicare a sé stesso. Dalla sua nicchia centrale fu successivamente creata un’apertura a quello che poi fu il Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II. La statua che fu dedicata al sommo poeta fu fatta costruire solo verso la fine del 1800 su proposta dello scrittore Vittorio Imbriani, ma solamente nel 1932 fu apposta la lapide marmorea che conclude la realizzazione del monumento.

La prima tappa significativa è stato Castel Nuovo, conosciuto anche come Maschio Angioino, risalente al XIII secolo e chiamato così proprio per distinguerlo dagli altri castelli più vecchi e già esistenti della città.

La prima differenza tangibile che ho avvertito è stato passare da quest’ampia zona appena visitata e ben trafficata, piuttosto rumorosa e “vissuta” e caratterizzata dal via vai sia di napoletani che di turisti, all’interno prima della Galleria Umberto I – dove tutto il frastuono esterno risultava attenuato – per poi proseguire davanti a Teatro San Carlo (costruito nel 1737 sempre su volontà di Re Carlo III di Borbone, è il più grande e antico teatro d’opera italiano ed europeo) fino a Piazza del Plebiscito con i suoi ampi spazi ed il suo quasi silenzio (ma forse solo perchè ho avuto io la fortuna di ritrovarmi lì in un momento di poca affluenza). Tale piazza, caratterizzata dal colonnato semicircolare, vede alle spalle di quest’ultimo la Basilica di San Francesco di Paola che – per la sua forma circolare e la cupola in alto al centro – ricorda il Pantheon ellinnistico, e sul lato opposto Palazzo Reale, che per tre secoli ha rappresentato il centro di potere a Napoli e dell’Italia meridionale e che oggi ospita il Museo di Palazzo Reale e la Bibloteca Nazionale.

É stato poi quasi un miraggio e una forte emozione scorgere da qui il mare, richiamo impossibile che non potevo assolutamente non assecondare: ho percorso così il lungomare ritrovandomi ad un certo punto sulla sinistra Castel dell’Ovo (chiamato così secondo la leggenda per cui il poeta Virgilio aveva deposto un uovo sotto terra dichiarando che, se si fosse rotto, il castello – e così tutta Napoli – sarebbe crollata) per poi proseguire fino al parco della Villa Comunale.

Seppur l’istinto incosciente era quello di continuare a camminare fino a Posillipo, la stanchezza ed il forte caldo mi hanno fatto desistere riportandomi alla ragione; così, cercando un po’ di ristoro e refrigerio un po’ nel giardino della Villa Comunale e poi in un cono gelato molto buono comprato in una gelateria poco distante (che mi avevano consigliato perchè lì avrei potuto trovare anche gusti vegani), mi sono nuovamente incamminata rifacendo tutto lo stesso percorso ma a ritroso.

Durante il tragitto cercavo di ascoltarmi e capire le mie prime sensazioni di quella prima mezza giornata scarsa: non so se era la conseguenza quasi normale della stanchezza dovuta al viaggio e ai chilometri percorsi fino a quel momento (persino zoppicando da ore per un dolore improvviso alla gamba senza conoscerne il motivo) e il pensiero di quelli che mi attendevano per ritornare al B&B, ma con dispiacere non riuscivo ad avvertire quell’entusiasmo che mi ero immaginata e con cui ero partita; “Ma posso essere io l’unica a cui non piace Napoli?” (anche se non era del tutto vero, perchè ciò che avevo visto fino a quel momento mi erano sì piaciute, ma non mi avevano ancora fatto esclamare quell’atteso Wow!, non mi avevano ancora rapito il cuore come mi aspettavo, emozioni che avevano invece portato molte altre persone ad innamorarsi di Napoli e a ritornarci più e più volte); questo pensiero di demoralizzava un po’… Ma a distanza di un lasso di tempo breve, anzi brevissimo, questi pensieri si sono via via trasformati, e non so sinceramente nemmeno io cosa sia successo: stavo ripercorrendo via Toledo, ma in direzione opposta rispetto all’andata, e qualcosa dentro di me è cambiato, senza preavviso e senza alcuna motivazione precisa… forse la luce un po’ diversa più prossima al tramonto? forse la minor afa che rendeva un po’ più piacevole la camminata? forse perchè non ero più così tanto presa a cercare questo o quell’altro monumento storico, con gli occhi spesso puntati sulla guida piuttosto che su ciò che mi circondava? Quest’ultima era ormai sepolta nello zaino, e così camminavo lasciandomi solamente guidare dai miei passi e dalla memoria delle vie già battute, guardandomi maggiormente intorno, questa volta facendo forse più attenzione anche all’architettura e ai colori delle case che si susseguivano mentre procedevo, ai negozi, alle persone che mi affiancavano… É lì che è avvenuta quella che in quel preciso momento ho definito “la magia”, perchè è lì che ho intuito che Napoli non è una città da capire, ma è semplicemente da vivere, con tutti quei contrasti che ti propone passo dopo passo; bisogna solamente lasciarsi trasportare e farsi assorbire dall’atmosfera.

Perchè a Napoli è impossibile non perdersi? Sinceramente non l’ho capito neanche alla fine di quei cinque giorni: fino ad allora non avevo mai pensato di avere un così scarso senso dell’orientamento, sta di fatto però che non c’è stato giorno in cui riuscissi a trovare tutto e subito ciò che cercavo; per ovviare a questo – visto che neanche la guida sembrava sufficiente – l’app di google Maps devo dire che è stata un po’ la mia salvezza… Voglio credere che sia solamente un qualcosa di inspiegabile legata a Napoli, e devo comunque ammettere che questa dinamica mi ha anche divertito: forse non trovavo ciò di cui ero alla ricerca in quel dato momento, ma era comunque bello durante il tragitto ritrovarmi inaspettatamente davanti quelle altre due o tre cose che erano in programma magari per il giorno dopo; oppure non sapere dove fosse una determinata via che mi avrebbe dovuto portare ad un determinato punto, andare così avanti ma un po’ alla cieca, e poi alzare istintivamente lo sguardo per trovarmela lì davanti… Guidata da questo vi consiglio vivamente di concedervi anche dei momenti senza una meta precisa da raggiungere, in cui farvi trasportare solamente da ciò che catturerà la vostra attenzione in quel preciso istante: è così che io ho scoperto quell’angolo, quella bancarella o quella persona che mi hanno strappato quel sorriso in più inaspettato.

Altra cosa inspiegabile di Napoli: non esistono marciapiedi, ed anche dove sono presenti ti dimentichi di utilizzarli… perchè le strade sono chiuse al traffico? Assolutamente no! Ma è semplicemente normale camminare lungo queste vie, soprattutto quelle molto strette del centro tra le bancherelle e i tavoli dei locali su entrambi i lati, e accostarsi di tanto in tanto solo per lasciare spazio alla macchina che desidera passare o al motorino che sfreccia e strombazza per far sentire il proprio arrivo. Si può dire che, a parte le vie parecchio trafficate, questo spirito è diffuso un po’ ovunque, ti ricordi dell’esistenza e della funzione dei marciapiedi solo nelle strade dove non sarebbe possibile fare diversamente.

Secondo giorno: centro storico di Napoli, di sopra e di sotto

Proprio così: c’è una Napoli da vedere camminando tra le vie della città, ma c’è anche una Napoli che si può scoprire solo scendendo nelle sue viscere… durante questo secondo giorno, in più tappe ed in più contesti, ho visitato entrambe.

Il centro storico si estende tra e lungo due vie parallele di origine romana, il decumanus maior (quella che oggi è Via dei Tribunali) ed il decumanus inferior (l’odierna Spaccanopoli – proprio perchè sembra dividere in due la città – detta anche Via San Biagio dei Librai); una delle vie che unisce quelle appena citate è San Gregorio Armeno, famosa per i suoi presepi: è un susseguirsi di piccoli negozietti pieni zeppi di statuine e accessori vari per abbellire il proprio presepe, cornini rossi di qualsiasi tipo e dimensione ed altri porta fortuna o scaccia jella sotto forma di ciondoli, portachiavi, soprammobili, e qualsiasi altro souvenir che possa ricordare ai turisti il loro soggiorno a Napoli una volta ritornati a casa. É quasi scioccante vedere come, soprattutto questa via, cambia completamente aspetto tra il giorno e la notte (è solo sufficiente che tutti questi negozietti vengono chiusi e la merce ritirata al loro interno per farle assumere un volto totalmente diverso).

Una delle mete è stato il Duomo che, forse parlando da milanese, vedendolo dall’esterno non mi ha trasmesso quella maestosità che dovrebbe caratterizzare la cattedrale di una città; si trova infatti incastonata tra altri due edifici e si affaccia quasi direttamente sull’omonima via (per intenderci, alcuna piazza antistante), infatti in un primo momento avevo il dubbio che si trattasse di una delle tante altre chiese presenti nella città; diversamente è entrarvi all’interno, dove ben si scorge tutta la sua grandezza e bellezza. É qui che sono custodite le reliquie del patrono, San Gennaro, ed è qui che i napoletani si affollano tre volte l’anno (maggio, settembre, dicembre) per assistere al miracolo della liquefazione del sangue del santo, contenuto in due ampolle.

Poco distante c’è una chiesetta, Pio Monte della Misericordia, all’interno della quale si trova un’opera di Caravaggio (“Sette opere di misericordia”); per accedere è necessario passare prima dalla biglietteria. Nella piazzetta di fronte alla chiesa si trova la Guglia di San Gennaro, il più antico obelisco della città e che fu eretta per volontà della Deputazione del Tesoro di San Gennaro (associazione laica che da 500 anni mantiene vivo il culto del santo e custodisce il suo tesoro, le sue reliquie) come ringraziamento al patrono per aver evitato, nel 1631, che la lava dell’eruzione del Vesuvio giungesse fino alla città.

Se amate visitare le chiese tenete conto che quasi tutte a Napoli, o comunque la maggior parte di esse, sono aperte solo la mattina; per questo motivo quel giorno non sono riuscita a visitare né la Chiesa del Gesù Nuovo e né la Basilica di Santa Chiara, quest’ultima con i suoi bellissimi chiostri (questi ultimi aperti anche nel pomeriggio), il più famoso dei quali è il Chiostro Maiolicato (il suo giardino è suddiviso in quattro settori da due viali che si incrociano e che sono fiancheggiati da colonne ottagonali intervallate a panchine, il tutto dipinto con scene campestri di vita quotidiana; le pareti sui quattro lati del chiostro invece sono rivestite da affreschi seicenteschi raffiguranti santi, allegorie e scene dell’antico testamento).

La cosa che mi ha affascinato, coinvolto, entusiasmato di più durante questa seconda giornata è stato il tour alla Napoli Sotterranea… fantastica! Ma soprattutto fantastica tutta la storia che trapela in ogni suo passaggio: è stato letteralmente un calarsi nelle viscere della città, a 40 metri di profondità, ed in secoli di storia.

 

Altro viaggio tra i resti della Napoli antica è possibile farlo partecipando al tour guidato alla Neapolis Sotterranea (vi invito a prenderne maggiormente visione andando direttamente sul sito), che si trova sotto la Basilica di San Lorenzo Maggiore: ti ritrovi a camminare lungo vie greco-romane, davanti a ciò che rimane delle antiche botteghe, del mercato, delle case.

Percorrere questo viaggio nella Napoli antica è stato come compiere un tuffo profondo centinaia di anni; ciò che si vede con i propri occhi e quello che la mente riesce solo ad immaginare diventano un tutt’uno.

Altra esperienza da vivere obbligatoriamente durante la propria vacanza a Napoli, la Pizza! Mangiarla proprio lì dove ebbe origine. E per togliermi lo sfizio quella sera sono voluta andare in una delle pizzerie più storiche della città, “da Matteo”, dove non è stato solo un mangiare la pizza (anche perchè la soddisfazione del palato dipende poi dai propri gusti personali), ma anche assaggiare un po’ di napoletanità a 360 gradi (compreso il chiassoso ciacerare degli stessi camerieri). Di pizzerie ce ne sono comunque a decine e decine, una di seguito all’altra soprattutto nel centro storico della città, e credo che al di là della nomea di un locale piuttosto che di un altro, l’una sia sovrapponibile (o quasi) all’altra (perchè alla fine la tradizione per la pizza accomuna tutta Napoli).

Terzo giorno: gita agli Scavi di Pompei

Per chi decidesse di andare a Pompei, soprattutto un consiglio: cercate di essere lì già all’apertura dei cancelli, alle 9 del mattino, sia per riuscire a vedere tutto meglio (completamente in tutt’altra atmosfera) sia per risparmiarvi un po’ delle ore centrali più calde (tenete conto che di caldo ne fa parecchio, soprattutto in estate, e pochi sono i punti dove potersi riparare, quindi munitevi anche di acqua, cappello o ombrellino).

Da Napoli ci si arriva tranquillamente con la Circumvesuviana in circa 30-40 minuti (che si prende alla stazione centrale in Piazza Garibaldi) e si arriva a pochi minuti a piedi dall’ingresso principale (Porta Marina).
Altro enorme consiglio: ricordatevi di prendere la mappa in biglietteria (dovrebbero comunque consegnarla insieme al biglietto), per non rischiare di perdersi come la sottoscritta che la cartina non l’hanno mai data se non all’uscita, dopo tre ore e mezza in giro tra gli scavi 😀 (più che perdersi è facile perdere il senso dell’orientamento, anche se un po’ di segnaletica all’interno esiste, ma che serve poco se non sai da/per dove stai andando; inoltre da un certo punto in avanti bisogna scordarsi di seguire gli altri tenendoli ancora come tuoi punti di riferimento, perchè dopo che cammini da un po’ tra gli scavi e quando iniziano anche ad affollarsi, chi ti cammina di fianco non sai più se è appena entrato o è lì già da ore come te).

Per immergervi per qualche altro minuto nell’atmosfera di Pompei, vi rimando ad un altro mio articolo dedicato al quel giorno, basta cliccare qui .

Mentre il pranzo è stato al sacco (di ritorno sulla Circumvesuviana, ma per chi lo desidera sia nel bar interno che nei diversi che si trovano appena fuori dagli scavi), quella sera ho optato per uno dei ristoranti/locali vegani della città, uno dei diversi nomi consigliati in un gruppo Facebook che concilia viaggi e questa filosofia etica di vita… ero rimasta sorpresa nello scoprire quante proposte regalasse Napoli, avevo l’idea che più si scendesse al Sud e più fosse difficile discostarsi dalla tradizione.

Il ristorante si chiama Amico Bio – Il Sorriso integrale  e si trova in via San Pietro a Maiella: è molto carino, curato ed offre una cucina sia vegetariana che vegana; esiste sia uno spazio interno che esterno. Un angolo per chi desidera mangiare in totale tranquillità seppur a pochi passi dalla movida. Ve lo consiglio!

Quarto giorno a Napoli: Museo Archeologico Nazionale e Cappella San Severo

Altra giornata di chilometri percorsi alla scoperta di nuovi angoli della città interessanti da vedere, ma anche cultura da assorbire.

É bello quando inizi a conoscere un luogo e ti senti più parte di esso, ti senti più sicuro di muoverti (senza comunque eliminare totalmente la possibilità di perderti ancora 😀 ): piazze già incrociate, vie già calpestate…

Quella mattina voleva essere inizialmente una sorta di ricerca di altre chiese da visitare, un paio che per alcuni particolari mi avevano incuriosito leggendo la guida di Napoli, nei pressi ancora di via Toledo… lungo il tragitto sono passata nuovamente davanti la Chiesa di Santa Chiara e Chiesa del Gesù Nuovo, questa volta trovate aperte per poter essere visitate.

Tra le due quella che mi è piaciuta di più è stata la seconda, ed era anche quella che mi attirava di più per aver letto che presentava alcuni elementi di natura esoterica. All’interno si trova anche una cappella dedicata al santo Giuseppe Moscati che presenta la riproduzione del suo studio, con la poltrona sulla quale morì: era un medico amatissimo, soprattutto dalle persone più povere, che Moscati curava gratuitamente e che aiutava comprando loro medicine e alimenti; era molto religioso e credeva nel rapporto tra scienza e fede. Nella piazza antistante la chiesa (Piazza del Gesù Nuovo) si erga la Guglia dell’immacolata: in occasione dell’8 dicembre i pompieri salgono in cima per deporre una corona di fiori ai piedi della Vergine.

Prima di tornare a Milano non volevo perdermi il Mercato della Pignasecca, dove avevo programmato di fare un po’ di shopping; da come ne avevo sentito parlare pensavo di vivere un puro momento di napoletanità, immersa tra merce di ogni genere e colore, confusione, il grande vociare dei venditori e i sacchetti pieni zeppi degli acquirenti… ma non ho trovato nulla di tutto questo, dietro indicazione di un taxista (più fidato di lui! Pensavo) mi sono ritrovata in una viettina stretta e con poche bancarelle… Ero nel posto giusto? Non lo so e mi dispiace non saperlo ancora adesso, forse lo sbaglio è stato quello di non chiedere ulteriormente lì nei paraggi. Il mio entusiasmo è andato in fumo insieme ai miei acquisti.

Così ho deciso di buttarmi sulla cultura, in un posto certo, fisico e tangibile, mi bastava solo impostare la meta e seguire le indicazioni su Google Maps: il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, di fama mondiale. Ampie sale, quattro piani tra reperti storici egizi, greci, romani, ma anche più antiche, tanto da arrivare quasi alle nostre origini. Sorto verso la fine del 1500, prima sede della cavallerizza e poi dell’Università, è qui che Ferdinando IV di Borbone decise di radunare la collezione farnese ereditata dalla nonna con la raccolta dei vesuviani, risultato di un’esplorazione proposta dal padre Carlo ed iniziata nel 1738 ad Ercolano e nel 1748 a Pompei.

In quello che oggi è il Gran Salone della Meridiana, una volta antica Biblioteca Reale, sì trova appunto sul pavimento una linea meridiana, realizzata nel 1791 dall’astronomo Giuseppe Cassella; obiettivo iniziale era quello di ospitare qui il primo Osservatorio di Napoli, progetto presto abbandonato sia per controversie interne che per l’inadeguatezza del luogo che non permetteva agevoli osservazioni astronomiche.

Non basta un giorno per visitare bene il Museo e cogliere tutto quello che qui è esposto, gli amanti di storia e archeologia vi troverebbero sicuramente pane per i loro denti rimanendone estasiati. É un susseguirsi di statue di qualsiasi epoca e dimensioni, vasi, utensili, mosaici, armature… Interessante è una piccola, ma molto famosa, collezione di pornografia antica (chiamata collezione del Gabinetto Segreto), che comprende svariate raffigurazioni e oggetti di natura erotica, provenienti per lo più dagli scavi di Ercolano e Pompei. Sapere che solo nel 2000 tale collezione è stata definitivamente aperta al pubblico (nel corso del tempo infatti era stata più volte censurata e fisicamente separata dalle altre collezioni perchè gli oggetti esposti erano considerati troppo osceni) fa pensare come, mentre per gli antichi romani la sessualità era vissuta in maniera piuttosto libera ed espressioni artistiche di questo genere non erano da nascondere ma, al contrario, erano simbolo di fertilità, abbondanza, divertimento, nelle epoche “più moderne” – ed anche non troppo lontane dai giorni nostri – le stesse rappresentazioni vennero viste come un qualcosa invece da nascondere o camuffare o addirittura eliminare.

Interessante anche la sala in cui è esposto un plastico della Pompei post-eruzione, che aveva lo scopo di offrire al pubblico la visione in miniatura dell’antica città sulla base di quanto era emerso dagli scavi; ideato dal direttore degli stessi, Giuseppe Fiorelli, e inaugurato nel 1879, successivi ampliamenti verificatisi nel corso del ‘900 gli conferirono l’aspetto attuale. Nella stessa stanza viene trasmesso ripetutamente un video, riproduzione in 3D del plastico e di quello che c’era allora, gli edifici dove ora regnano le rovine, una continua alternanza di queste due realtà distanziate da circa duemila anni.

Sul sito del Museo viene spiegata in modo approfondito la sua storia, le collezioni che si possono vedere, eventuali mostre ed eventi organizzati, ma il mio consiglio – rivolto soprattutto agli appassionati – è quello di andare di persona a visitarlo, preventivando di trascorrerci almeno mezza giornata.

Nel tardo pomeriggio un’altra meta che mi avevano detto essere obbligatoria durante una permanenza a Napoli: visita alla Cappella Sansevero, lì dove si trova il Cristo Velato: da un unico mezzo di marmo è stata creata da Giuseppe Sanmartino quest’opera che rappresenta Gesù morto, in dimensioni naturali e ricoperto da un sudario; é impressionante avvertire la “trasparenza” del velo nonostante il materiale con cui è stato realizzato, sotto il quale si vedono chiaramente i lineamenti del volto di Cristo, ma anche i piedi, le dita dei piedi, addirittura le rotule. Opera molto bella, che cattura l’attenzione e la curiosità del visitatore, il quale cerca di scorgere ogni dettaglio in quel corpo marmoreo lì deposto. Opinione mia personale questa, ma credo che anche le luci contribuiscano a regalare quell’effetto finale, così come la prospettiva e la distanza dalla quale si il Cristo; questo non toglie comunque nulla alla grandiosità dell’opera che è considerata una delle più suggestive al mondo.

La Cappella è sostanzialmente un mausoleo, è qui infatti che si trova la tomba di Raimondo di Sangro, il settimo principe di Sansevero, personaggio dai mille volti quante erano le attività e i campi in cui spaziava, sia nella scienza che nelle arti, con un’impronta esoterica che era alla base della sua conoscenza. Per molti era considerato un mito (tra i suoi contemporanei, ma non solo; anche ai giorni nostri la sua figura fu di ispirazione per rappresentazioni teatrali, persino di fumetti e di una collana di romanzi), per altri visto con timore (tra le diverse cose, tra leggenda e realtà si dice che facesse imbalsamare i corpi dei suoi servitori; due corpi infatti – di un uomo ed una donna – sono esposti nella cripta della Cappella, dei quali è visibile l’intelaiatura dell’intero apparato circolatorio). La Cappella Sansevero rappresenta solo un esempio della sua personalità e ingegnosità.

Nella cappella è vietato scattare foto, per salvaguardare le opere, per tale motivo vi invito a cercare le immagini del Cristo Velato nel web, ma ancor meglio ad andare sul sito della Cappella in modo da poter leggere anche la sua storia e tutto ciò che in essa è contenuto.

Quinto giorno a Napoli: Vomero e ritorno a Milano

Salendo al Vomero Napoli assume tutt’altro volto, sembra completamente un’altra città: niente confusione, niente traffico… al primo impatto ho avvertito una sorta di boccata d’aria. É un quartiere residenziale che si trova in zona collinare.

Uscendo dalla metro alla fermata Vanvitelli ho percorso un tratto di via Scarlatti, tra case in stile liberty, negozi di lusso e alberi su entrambi i lati lungo i marciapiedi.

Prima meta: Villa Floridiana con il suo lussureggiante parco, dimora che fu regalata da re Ferdinando IV di Borbone alla seconda moglie Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia (da qui il nome). Qui ora si trova il Museo Nazionale della Ceramica. Nella parte retrostante della villa vi ritroverete su una lunga scalinata con una stupenda vista sul Golfo di Napoli.

Ma esistono altri due Belvedere al Vomero, ancora più su, nella sua parte più alta raggiungibile con la funicolare, ma anche facendo una passeggiata a piedi la salita è gradevolmente fattibile (anche perchè, oltre ai gradini, lateralmente ad essi c’è la scala mobile).

Lungo la strada ci si ritrova prima davanti a Castel Sant’Elmo, il più antico dei castelli della città. Origina da una torre di osservazione normanna chiamata Belforte, inglobando anche una chiesa del X secolo dedicata a Sant’Erasmo (da qui deriva il suo nome). La sua pianta stellare fu voluta dal vicerè spagnolo Don Pedro di Toledo che lo fece ricostruire nel 1537 (fu terminato nel 1546); durante la sua storia fu anche carcere, ora invece accoglie il Museo del Novecento a Napoli, acquisendo così anche un ruolo e importanza in campo culturale e artistico. Dagli spalti panoramici della grande Piazza d’armi sopra il Castello, lo sguardo si perde a 360 gradi su tutta la città e il Golfo di Napoli; questo ovviamente un tempo ricopriva una notevole importanza militare.

Poco distante dal castello si trova invece un’altra terrazza panoramica sulla città; è divertente provare a riconoscere le principali vie o chiese, percorse e visitate, nei giorni precedenti (un po’ meno quando non riesci a distinguerle 😀 ). Sedersi qui su una panchina davanti a questa visuale aiuta a rilassarsi e a godere solo di quel momento; lo stesso posto credo acquisti un fascino particolare la sera al tramonto, o quando il cielo è completamente scuro: per un’uscita romantica non ci sarebbe luogo più azzeccato. Sulla piazza, alle spalle, si trova la Certosa di San Martino, oggi con il suo Museo Nazionale.

Ultimi consigli, “Partenopeo” e la leggenda della Sirena

Ecco, sono giunta alla fine.

I tre giorni scarsi che mi ero programmata inizialmente da trascorrere in questa città? Sarei riuscita a vedere veramente poco (anche perchè una scapatina a Pompei non volevo assolutamente perdermela!), tenete conto che parecchio me lo sono perso dando la precedenza ad alcune zone e discapito di altre: ho tralasciato Capodimonte ed il Quartiere Sanità ad esempio, mi sarebbe piaciuto spingermi verso Posillipo per vedere panorami immagino stupendi del Golfo da un’altra prospettiva… il “trucco” credo sia questo: definire prima il numero di giorni e in base a questo mettere giù un programma, oppure al contrario decidere cosa di Napoli si desidera vedere e conseguentemente definire la permanenza.

Se desiderate visitare Napoli inoltre, un altro consiglio (quello forse il più sentito) è quello di partire lasciando a casa senso del giudizio, pregiudizi e preconcetti che purtroppo spesso si sentono esistere nelle persone e che magari qualche volta hanno provato anche a trasmetterti, e vivere la città come se foste parte di essa; osservate quello che vi circonda escludendo dalla mente qualsiasi vostro “Dovrebbe essere”, ma semplicemente guidati da un “Così è”: solo così riuscirete ad apprezzare ogni cosa che vedrete, ogni angolo, qualsiasi caratteristica di questa città che fino a quel momento non avevate mai sentito far parte del vostro essere.

É tutto ciò che ho vissuto io in prima persona, ed è ciò che più di ogni altra cosa Napoli è riuscita a regalarmi e per la quale la ringrazio: imparare a guardare oltre i miei filtri mentali, e per ciò che prima avrei esclamato quasi sbalordita “Non è possibile!” dopo sole poche ore sorridevo avvertendone la normalità, non mia ma di questa grande città che riesce a coinvolgerti se sei disposto a farti coinvolgere.

Napoli non puoi semplicemente visitarla, la devi vivere.

Desidero lasciarvi con la leggenda che spiega l’uso del termine “partenopeo” per definire Napoli, i suoi abitanti e tutto ciò che ha a che fare con questa città.

La leggenda (che si fonde con la mitologia greca) racconta che esisteva una bellissima sirena di nome Partenope che, con la sua voce, ammaliava tutti i marinai che attraversavano quelle acque, i quali finivano per naufragare con le loro navi. Un giorno anche Ulisse dovette passare di lì, ma per evitare anche la propria sciagura e quella dei compagni, fece inserire nelle orecchie di questi ultimi dei tappi di cera, mentre lui – curioso di sentire il canto di Partenope – si fede solamente legare al palo maestro della nave. Questo creò un grande sconforto nella sirena che si suicidò gettandosi nelle profonde acque, le quali la trasportarono fino a quel golfo che poi diventò il Golfo di Napoli.