Una delle cose più belle che ho fatto nel 2016? Iscrivermi a un corso di scrittura creativa.
Le lezioni, oltre a istruirmi, hanno contribuito a fare uscire quella voce interiore che abbiamo tutti ma che spesso, per vari motivi, rimane nascosta.
Oggi mi impegno a non lasciarla più marcire dentro, creando una sezione – #raccontisparsi – dove raccogliere i testi più creativi, da poter condividere con voi!

Lisa

Si sfregava le mani nel lavandino elegante della villa, incredula, come se i suoi occhi avessero appena assistito alla scena di un brutto film. Mentre il vento le toglieva i capelli dal viso sudato e pallido, la mente ritornava a quel giorno a Catania di inizio estate, quando Carlo l’aveva raggiunta con la macchina fotografica. Insieme si erano spinti fino al loro bar preferito, sul lungomare.
Lisa ricordava perfettamente lo scambio di battute di appena tre anni fa: vedeva l’espressione di Carlo, che poco prima di ordinare cipollina e aranciata, la merenda quotidiana, le aveva detto sorridendo: “Lisa, voltati, non fare la timida. Oggi sei così bella che voglio portare il ricordo con me per tutta la vita”.
Si era girata di scatto, occhi bassi, il suo pesante chignon aveva ondeggiato, era così imbarazzata da non riuscire a guardare l’obiettivo.
Aveva cercato in tutti i modi di distogliere l’attenzione di Carlo dal suo volto, parlando del più e del meno, dei genitori che la volevano avvocato, della nuova rivista che aveva comprato, donne formose e tanto belle accanto a registi famosi.
“Mi piacerebbe fare l’attrice un giorno” – gli aveva detto.
Lui non ne voleva sapere – “Amunì Lisa, statte ferma!”. 

Era stato un bel giorno. Peccato che oggi, della Lisa amata da Carlo non esisteva più nulla. Della pudica timidezza giovanile rimaneva una tiepida ombra. Dopo essersi trasferita a Roma, il sogno di fare l’attrice era diventato un’ossessione che non le permetteva di riconoscere più la verità dalla bugia.
I primi tempi erano stati duri. Chiedeva soldi ai genitori per potersi almeno permettere un cornetto a colazione, ma la risposta del padre era sempre la stessa: “Torna a casa Lisa, qui ti aspettiamo. Con granita e brioche, se vuoi.”
Ma lei di una vita catanese, tranquilla e già scritta, proprio non ne voleva sapere. L’idea di anni passati nello studio di suo padre, diventare mamma e moglie mentre la donna che era sarebbe passata nel dimenticatoio, le provocava l’orticaria sulla pelle.
Era partita, sola, con una grande valigia, sul treno che dopo 10 ore l’avrebbe portata a Roma, nel mezzo di una vita che chiamavano “dolce”. 

“Dai Lisa, vieni a vivere con me. Ci dividiamo le spese dell’affitto! All’inizio posso aiutarti io. Ci divertiremo” – le aveva detto Maria, siciliana come lei, biondissima e dalle forme quasi inesistenti. Si erano conosciute in un bar appiccicoso, ubriache di orzata, e dopo essersi scambiate qualche parola sulla loro vita mediocre, Maria aveva gettato le basi per una grande proposta.
Lisa si era subito convinta: il giorno dopo aveva posato le valigie sul pavimento di una casa non sua, sudicia quanto bastava per accoglierla nelle sere d’inverno.
Grazie alla sua coinquilina conobbe Adina, proprietaria dell’appartamento e di altre case sparse per la periferia romana. Brasiliana e dalle sopracciglia folte e mascoline, Adina aveva subito capito la giovane, ne aveva odorato la sete di successo e in un bel giorno di primavera le aveva detto: “Saresti perfetta come indossatrice in un negozio di lusso. Pensa solo a quante persone conosceresti! E se poi ti capita quella giusta, quella già famosa insomma, il gioco è fatto”.  

La moretta catanese, come la chiamavano giù, in Meridione, dove ormai non tornava più, aveva iniziato a indossare abiti pregiati e liscissimi in una boutique vicino a via del Corso. Era il 1962. Tutti i giorni vedeva entrare donne bellissime, capelli sempre in ordine e naso all’insù, e uscire signore impettite con buste merlettate, colme di abiti dal profumo di organza.
Lisa detestava quei vestiti che le fasciavano il vitino stretto e – ahimè! – le calzavano a pennello, se non altro per mancanza di denaro o di qualcuno che potesse acquistare per lei una materia così pregiata e lavorata alla perfezione, e mentre il desiderio di rivalsa riempiva il suo seno prosperoso, i sorrisi a mezza bocca, carichi di noia e vanità, diventavano sempre più frequenti. Stava perdendo la spontaneità che l’aveva accompagnata fino a quei giorni, spalancava le porte all’invidia che di frequente bussava alla casa dell’emozione.

Walter e Lisa si erano conosciuti proprio mentre il giallo della natura iniziava a posarsi sui sanpietrini. Un vento fortissimo aveva gelato il sangue di tutte le ragazze della boutique, quando i coniugi Barbieri avevano aperto la porta sonante del negozio e, con frenesia, la signora aveva chiesto a Lisa di poter vedere meglio quella gonna di seta finissima esposta in vetrina.
Walter osservava la ragazza come un’apparizione prodigiosa.
“Sai chi è quello? Il produttore dell’ultimo film di Fellini” – le aveva spifferato una collega civetta.
Finalmente aveva alzato lo sguardo, voleva fissare negli occhi quello che sarebbe potuto diventare la sua porta per il paradiso. Lui era piccolo e calvo, davvero ben vestito. Le sorrideva e muoveva le mani alla ricerca di qualcosa nelle tasche.
Vedendolo, tutto le sembrò chiaro, come se il suo progetto di vita fosse pronto a essere inciso su carne.
“È stata talmente paziente con mia moglie. Le andrebbe una sigaretta?”  – Walter sospirava e la fissava. A Lisa faceva quasi ribrezzo.

Da quella famosa sigaretta aspirata dietro le porte sporche dello sgabuzzino della boutique di via del Corso erano passati due anni. Due anni fatti di tradimenti, di camere d’albergo con servizio in camera, gioie e dolori condivisi più o meno allo stesso modo, promesse mantenute solo a metà. Poi per Lisa era arrivata la prima comparsa in un cortometraggio, seguita da una particina inadeguata in un film più lungo. Walter prometteva e Lisa aspettava senza ritegno. Walter tornava a casa dalla moglie e Lisa si impreziosiva degli stessi vestiti che una volta indossava per altre donne e che ora portava con fierezza nei locali di via Veneto.
I soldi erano aumentati, tanto da non stare più sotto le doghe del materasso dell’appartamento condiviso con Maria, e senza avvisarla prese numerosi appuntamenti con giovani agenti immobiliari che segretamente stregava per assicurarsi l’occasione della settimana.
“Lisa ho una grande notizia. Il prossimo film che produrrò sarà diretto da uno dei più grandi registi hollywoodiani del momento. Voglio proporti come protagonista.” – le aveva detto poco prima di Natale Walter, sorseggiando un bicchiere di vino in un ristorantino di Frascati – “Capisci Lisa? Finalmente potrai realizzare il tuo sogno!” – e lo diceva credendoci, con gli occhi sognanti di un uomo innamorato ma non troppo coraggioso.

I provini de L’abito da sposa non erano ancora iniziati quando Lisa aveva ricevuto l’invito alla festa di uno degli sceneggiatori. Lo aveva preso come un segno. “Mi ha invitata perché vorrà parlarmi della parte” – si ripeteva ammirandosi allo specchio senza un ciglio di dubbio sul volto.
L’idea che all’evento avrebbe partecipato anche Walter con signora a seguito non la toccava minimamente. Le luci quadrettate, le scale bianche, i fili colorati penzolanti dai soffitti, le tartine con caviale, i bicchieri scoppiettanti di champagne: a questo pensava Lisa.

Alla festa nessuno l’aveva degnata di uno sguardo, neanche Walter, stretto alla donna tradita come un cagnolino fedele.
Poi fu 
proprio lei a parlarle per prima. “Il tuo visino mi ricorda qualcuno” – le aveva detto avvicinandosi. E senza attendere risposta – “Ma certo, tu sei l’indossatrice della Laurence Boutique. Non ho mai saputo il tuo nome…”
“Signora Barbieri che piacere rivederla. Mi ricordo benissimo di lei e della sua eleganza. Il mio nome è Lisa” – aveva sospirato.
“È da tempo che non ci vediamo, Lisa. Come stai? Hai per caso cambiato lavoro?”.
“Si, ora sono un’attrice” – mentre la voce si faceva goffamente alta.
“Sono felice per te. Come ci sei riuscita?”.
Lisa dovette dar sfogo alle sue qualità di interprete per tirar fuori una storia che avesse un filo logico. Le raccontò di come era stata scoperta, delle piccole parti che aveva interpretato, dell’autostima che cresceva ogni giorno, della nuova vita che l’aspettava. Con unghie immaginarie difendeva la storia inventata di fronte alla donna dell’uomo che la riempiva di regali.
Parlavano, ridevano, sembravano due vecchie amiche. Buttavano giù fiumi di vino e passeggiavano. Erano arrivate sul ciglio della bellissima terrazza che affacciava su Monte Mario.
“Non è che sotto sotto c’entra mio marito?” – alla signora Barbieri questa domanda era uscita spontanea, senza ostacoli, quasi senza motivo, completamente slegata da ciò che si stavano confidando.
Lisa non capiva e non sapeva cosa rispondere. Si era voltata verso la finestra con l’intenzione di rientrare, magari correre e tornare a casa. Si sentiva indifesa e piena di rabbia. Vedeva la donna imbruttita e vecchia, ma così elegante e sicura di se da far passare in secondo piano tutto il resto.
“Guarda che so tutto, cara Lisa.” – le aveva sussurrato all’orecchio. Lisa riusciva a sentire solo l’alito caldo e pieno di alcool. “Se speri che la parte di Dori in L’abito da sposa sarà tuo, ti sbagli di grosso. Potrai anche fotterti mio marito, ma la parte è già stata assegnata da un pezzo. Sarà mia”.

Lisa non aveva reagito. Ci avevano pensato le sue mani. L’aveva guardata per l’ultima volta volare via. Giù da quel balcone con vista. Aveva sentito un tonfo sordo e si era immaginata a Catania, con Carlo. Poi, mentre tutti accorrevano sul corpo della donna, si era spinta in silenzio fino in bagno a lavar via qualcosa di sporco che dalle mani sentiva ostinatamente arrivare fino al collo e invadere lentamente tutto il corpo. La dolcezza che l’aveva sempre contraddistinta aveva cambiato forma, si era talmente assottigliata da sparire, lasciando il posto a un’emancipazione crudele che non sarebbe stata più in grado di controllare.